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Di tutte le forme della letteratura e della poesia il romanzo è la più disprezzata, e per alcune classi di persone la più abborrita. — La lettura di un romanzo si fa, per solito, di nascosto e lontano possibilmente dagli occhi de' curiosi, press'a poco come quando si commette un peccato. — Se una ragazza è in odore di gran leggitrice di romanzi, storna da sè qualunque possibilità di matrimonio; la spina dorsale deviata, il broncocele, la clorosi, l'isterismo, l'epilessia, sono in una fanciulla, contro i giovinotti assestati che voglion metter casa, spauracchi meno spaventosi dell'abitudine a legger romanzi. — I maestri, i pedagoghi, i prefetti di camerata, se colgono un giovinetto alunno sprofondato nella lettura di un romanzo, tosto è un tumulto nella famiglia, un parapiglia nel Collegio-Convitto; minacce di castighi, di espulsioni, di collere implacate. — Gli uomini gravi, i torci-colli, quelli che si danno importanza, quelli che vogliono parere senza essere, i cultori di matematica, i poliglotti, quelli dell'alta e della bassa filologia, gli studiosi d'economia, quelli che aspirano, per lo meno, a diventar soci corrispondenti di un qualche istituto, danno tutti quanti a più potere la caccia ai romanzi, e guardano ai romanzieri con atti di commiserazione e di sdegno e d'inquietudine; press'a poco come gli esorcisti del bel tempo dell'inquisizione guardavano i sospetti di stregoneria. Bene sono esclusi dalla persecuzione e dall'odio universale alcuni pochi romanzi celeberrimi, che a buoni conti si chiamano libri, perchè la parola non corrompa l'opera. — Ma anche questi pochi libri, che in Italia crediamo che sommino a cinque, e in Francia a tre, e in Inghilterra ai migliori di Scott e ai due di Bulwer, sono concessi in via di tolleranza, press'a poco come al tempo dell'editto di Nantes erano sopportati i protestanti. — Egli è bensì vero che il romanzo storico era come riuscito in addietro a sottrarsi all'interdetto, se non altro per la difficoltà delle ricerche e per la necessità di rovistare negli archivj, e perchè, in una parola, la mente e la fantasia erano condannate alla schiavitù della schiena. — Ma dopo che il più grande dei romanzieri venne a condannare il romanzo storico come una mostruosità della letteratura, come un ente ibrido, come un assurdo, come un impossibile, il romanzo storico fu cacciato più sotto ancora del romanzo intimo; e i pedanti che non trovarono mai di lodare Manzoni, questa sola volta s'accorsero della presenza del suo genio, questa sola volta che con coraggio inaudito nella storia dell'orgoglio umano, il grande uomo venne a dar di martello all'opera più colossale del suo genio appunto. — Da più anni in fatti il romanzo storico sembra che sia quasi scomparso dalla faccia del mondo; sembra che ai cacciatori della fama sia passata la voglia di farne: e colui che oggi ha la malinconia di pubblicare questo lavoro, e che, nell'età dell'innocenza, stampò tre romanzi storici uno dopo l'altro; quantunque ne avesse avviato un quarto, dopo il discorso manzoniano lo converse tutto quanto in fidibus per la sua pipa casalinga. Ma se gli uomini onesti e pacifici, se i padri di famiglia, se i prefetti, se i prevosti possono essere oggimai quasi sicuri dall'assalto de' romanzi storici, hanno tutte le ragioni di perdere l'allegria, se pensano a quell'altro genere di romanzi che si è convenuto di chiamare contemporanei, intimi, di costume. Questi romanzi crebbero a dismisura nella persecuzione, come gli schiavi d'Egitto e di Babilonia; si moltiplicarono a miriadi sotto alla percossa dei testoni pesanti, come le lumache quanto più si zappa nell'orto contaminato. In Inghilterra e in Francia è una produzione di romanzi tale che sembran fatti a gualchiera, a trancia, a torchio, a mulino, a vapore; è un'eruzione perpetua e in tutti modi, e più invadente che la lava, dello spirito umano contro lo spirito umano. — Che direbbe se comparisse Orazio col suo precetto degli anni dieci?E quanti ne producon Francia e Inghilterra ajutate dagli Stati Uniti, tanti ne inghiotte il mondo, che come sigari li fuma e abbrucia, e ne getta gli avanzi alla bordaglia. Tuona la critica, tuonano i pergami, le fanciulle son minacciate di celibato, gli adolescenti di essere cacciati dai ginnasi, i giovani di studio d'essere esclusi dal banco. — Ma i romanzi si riproducono, si sparpagliano, penetrano dappertutto, e sono letti persino da chi tuona e sbuffa; persino dalle madri sospettose; persino dagli uomini che si danno importanza; persino da quelli che hanno la missione di far prosperare l'alta filologia e la numismatica e la diplomatica e i concimi e il baco e il gelso. Sotto al grosso volume severo noi spesso abbiam visto trafugare, alla nostra visita inattesa, la leggiadra brochure parigina, su cui di gran volo potemmo sorprendere i nomi orridi e peccaminosi di Gozlan, di Gautier, di Kock, di Dumas!!! Oh orrore!!!Dopo tutto ciò, è egli giusto codesto dispregio in cui è tenuto il romanzo, sia storico, sia contemporaneo, sia di costumi, sia morale, sia industriale, sia marittimo, sia dell'alta, sia della bassa società, sia didascalico, sia psicologico: ramificazioni tutte del gran ceppo del vetusto romanzo cavalleresco? — Noi crediamo fermamente di no, e fermamente crediamo che il dispregio provocato dai guastamestieri ingiustamente siasi rivolto contro al genere. Intanto, in codesto interesse antico e perpetuo del romanzo dev'essere deposta la ragione che storna la sua abolizione. — Intanto i più grandi scrittori del secolo sono romanzieri; Foscolo, Manzoni, Goethe, Byron, Scott, Châteaubriand, Vittor Hugo, Bulwer tradussero in forma di romanzo le più splendide e più consistenti emanazioni della loro mente. Intanto in un libro di un grand'uomo morto di recente, abbiamo letto che l'Iliade d'Omero è un romanzo storico, l'Odissea un romanzo intimo, la Divina Commedia un romanzo enciclopedico, il Furioso un romanzo fantastico, la Gerusalemme un romanzo cavalleresco. — Tutte le verità e della religione e della filosofia e della storia, se hanno voluto uscire dall'angusta oligarchia dei savj, per travasarsi al popolo, hanno dovuto attraversare la forma del romanzo che tutto assume: — la prosa, la poesia, le infinite gradazioni dello stile; ei si innalza, in un bisogno, nelle più alte regioni dell'idea, s'abbassa tra le realtà del mondo pratico; è elegia, è lirica, è dramma, è epica, è commedia, è tragedia, è critica, è satira, è discussione; al pari dell'iride, ha tutti i colori, ed è per questo che si diffonde nel popolo, e piove come la luce di luogo in luogo e di ceto in ceto e d'uomo in uomo, e per l'onnipotenza sua appunto può recar danni funestissimi come vantaggi supremi; chè tutto dipende dalla mente che lo governa. Così avviene degli elementi più poderosi che sono in natura, i quali riescono nel tempo stesso e benefici e pericolosi all'uomo. Il romanzo di Scott invogliò alla ricerca delle memorie rivelatrici del Medio Evo, e inspirò il sommo Thierry; Carlo Dickens in Inghilterra propose ed ottenne riforme legali, indarno proposte e domandate dalla scienza in toga. Se non che questi elogi che facciam del romanzo or quasi ci fan parere indegni di esporne uno; mentre prima il quadro detestabile che ne abbiam fatto quasi ci faceva venire il rossore sul volto al pensiero che stavamo per ritornar romanzieri anche noi. — Ma, sia qual vuolsi, è ridicolo tanto l'abbellirsi di modestia, quanto l'accusarsi di superbia. — Già, ogni qualvolta un galantuomo stampa qualche prodotto della sua mente, è reo della più luciferina superbia di cui un uomo può esser capace. — Stampare significa credere bellissimo e utilissimo all'umanità quello che si è pensato e scritto; e chi, nel punto massimo della più alta stima di sè stesso, si fa innanzi col capo chino e colle proteste della sua incapacità è un bugiardo. — Però noi aspiriamo al merito di non essere mendaci. — Cento Anni è il titolo del nostro lavoro, e Cento Anni dovremo veder passar di fuga innanzi a noi, cominciando dalla metà del secolo andato e chiudendo alla metà del secolo corrente. — Vedremo le parrucche cadenti a riccioni stare ostinate contro i topè; vedremo il topè subire più modificazioni e concentrarsi nel codino col chiodo; vedremo i ciuffi a campanile, i capelli alla brutus e la cerchia del rinascimento; vedremo il guardinfante del secolo passato attraverso a più vicende venire a patti col guardinfante del secolo presente. — Vedremo la cipria, che imbiancava i capelli neri, di mutamento in mutamento, svolgersi in quell'empiastro che oggi fa diventar neri i capelli bianchi.
Questa specie, ora del tutto perduta, era allora floridissima in Lombardia, e già molto antica. Chi non ne avesse idea, ecco alcuni squarci autentici, che potranno darne una bastante de' suoi caratteri principali, degli sforzi fatti per ispegnerla, e della sua dura e rigogliosa vitalità.Fino dall'otto aprile dell'anno 1583, l'Illustrissimo ed Eccellentissimo signor don Carlo d'Aragon, Principe di Castelvetrano, Duca di Terranuova, Marchese d'Avola, Conte di Burgeto, grande Ammiraglio, e gran Contestabile di Sicilia, Governatore di Milano e Capitan Generale di Sua Maestà Cattolica in Italia, pienamente informato della intollerabile miseria in che è vivuta e vive questa città di Milano, per cagione dei bravi e vagabondi, pubblica un bando contro di essi. Dichiara e diffinisce tutti coloro essere compresi in questo bando, e doversi ritenere bravi e vagabondi... i quali, essendo forestieri o del paese, non hanno esercizio alcuno, od avendolo, non lo fanno... ma, senza salario, o pur con esso, s'appoggiano a qualche cavaliere o gentiluomo, officiale o mercante... per fargli spalle e favore, o veramente, come si può presumere, per tendere insidie ad altri... A tutti costoro ordina che, nel termine di giorni sei, abbiano a sgomberare il paese, intima la galera a' renitenti, e dà a tutti gli ufiziali della giustizia le più stranamente ampie e indefinite facoltà, per l'esecuzione dell'ordine. Ma, nell'anno seguente, il 12 aprile, scorgendo il detto signore, che questa Città è tuttavia piena di detti bravi... tornati a vivere come prima vivevano, non punto mutato il costume loro, né scemato il numero,dà fuori un'altra grida, ancor più vigorosa e notabile, nella quale, tra l'altre ordinazioni, prescrive:Che qualsivoglia persona, così di questa Città, come forestiera, che per due testimonj consterà esser tenuto, e comunemente riputato per bravo, et aver tal nome, ancorché non si verifichi aver fatto delitto alcuno... per questa sola riputazione di bravo, senza altri indizj, possa dai detti giudici e da ognuno di loro esser posto alla corda et al tormento, per processo informativo... et ancorché non confessi delitto alcuno, tuttavia sia mandato alla galea, per detto triennio, per la sola opinione e nome di bravo, come di sopra. Tutto ciò, e il di più che si tralascia, perché Sua Eccellenza è risoluta di voler essere obbedita da ognuno.All'udir parole d'un tanto signore, così gagliarde e sicure, e accompagnate da tali ordini, viene una gran voglia di credere che, al solo rimbombo di esse, tutti i bravi siano scomparsi per sempre. Ma la testimonianza d'un signore non meno autorevole, né meno dotato di nomi, ci obbliga a credere tutto il contrario. È questi l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Juan Fernandez de Velasco, Contestabile di Castiglia, Cameriero maggiore di Sua Maestà, Duca della Città di Frias, Conte di Haro e Castelnovo, Signore della Casa di Velasco, e di quella delli sette Infanti di Lara, Governatore dello Stato di Milano, etc. Il 5 giugno dell'anno 1593, pienamente informato anche lui di quanto danno e rovine sieno... i bravi e vagabondi, e del pessimo effetto che tal sorta di gente, fa contra il ben pubblico, et in delusione della giustizia, intima loro di nuovo che, nel termine di giorni sei, abbiano a sbrattare il paese, ripetendo a un dipresso le prescrizioni e le minacce medesime del suo predecessore. Il 23 maggio poi dell'anno 1598, informato, con non poco dispiacere dell'animo suo, che... ogni dì più in questa Città e Stato va crescendo il numero di questi tali(bravi e vagabondi), né di loro, giorno e notte, altro si sente che ferite appostatamente date, omicidii e ruberie et ogni altra qualità di delitti, ai quali si rendono più facili, confidati essi bravi d'essere aiutati dai capi e fautori loro... prescrive di nuovo gli stessi rimedi, accrescendo la dose, come s'usa nelle malattie ostinate. Ognuno dunque, conchiude poi, onninamente si guardi di contravvenire in parte alcuna alla grida presente, perché, in luogo di provare la clemenza di Sua Eccellenza, proverà il rigore, e l'ira sua... essendo risoluta edeterminata che questa sia l'ultima e perentoria monizione.
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tost, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l'ossatura de' due monti, e il lavoro dell'acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de' torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina a diventar città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l'onore d'alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che invan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell'estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l'uve, e alleggerire a' contadini le fatiche della vendemmia. Dall'una all'altra di quelle terre, dall'alture alla riva, da un poggio all'altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: e da qui la vista spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda. Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specchio dell'acqua; di qua lago, chiuso all'estremità o piùttosto smarrito in un gruppo, in un andirivieni di montagne, e di mano in mano più allargato tra altri monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che l'acqua riflette capovolti, co' paesetti posti sulle rive; di là braccio di fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra' monti che l'accompagnano, degradando via via, e perdendosi quasi anch'essi nell'orizzonte. Il luogo stesso da dove contemplate que' vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra, d'intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v'era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e l'ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico dell'altre vedute.Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l'indice della mano destra, e, messa poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all'intorno, li fissava alla parte d'un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d'un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l'altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all'anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell'intenzion dell'artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert'altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com'era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s'aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L'abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov'era giunto il curato, si poteva distinguer dell'aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull'omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d'ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de' bravi.